L’Ozio è rifugio e strumento d’indagine. Non l’ozio dei basilischi e dei gattopardi, ma quello di Seneca: “una sosta, non un porto”, che dà l’occasione di contemplare, scrutare, conoscere… La quiete apparente del Sud, la lentezza evocata da Franco Cassano nel suo “Pensiero Meridiano”, che permette di “aprirsi magicamente ai sogni” e di trovare “un accordo tra mente e mondo”. L'Ozio che coinvolge gli artisti che hanno deciso di collaborare a questo progetto non è una condizione stagnante ma, al contrario, è il motore della novità: permette di scavare ancora, dopo millenni nella realtà che viviamo, per offrire frammenti di verità. L’arte vuole il suo tempo, l’artista deve impadronirsene per poter pensare, elaborare, mettere in campo la sua abilità manuale, cercando il giusto equilibrio tra virtuosismo e gesto istintuale, tra esperienza personale e collettiva.

venerdì 24 agosto 2012

Il beneficio dell’ozio per dieci artisti della contemporaneità


di Lorenzo Madaro


Ozio. Lo si percepisce bighellonando con uno sguardo agile (all’insù naturalmente) per le vie dei nostri centri storici, da Lecce alle realtà “minori” del Salento: putti, santi, decorazioni plastiche… tutto sembra assopito ma vigile, anche quando la carica barocca infiamma i prospetti, accende gli altari, movimenta i balconi ed elettrizza cornicioni e mignani. C’è in quell’atmosfera atemporale, calma e densa al contempo – che fa parte dell’attitudine del sud, e di questo sud nella fattispecie – un’energia sospesa da meditare e contemplare anche sotto il profilo estetico.

Oziare è appunto un’attitudine di chi riflette e poi agisce, ma con calma: una sorta di condizione dell’anima che naturalmente non significa inoperosità. L’avevano già dedotto i viaggiatori che tra Otto e Novecento hanno scandagliato il nostro territorio, non senza rilevare particolari che forse a noi sfuggono ancora a distanza di molto tempo.

Oggi dieci nomi riflettono negli spazi di A&A di Galatina attorno a questo tema delle declinazioni plurime, attraverso le propensioni di numerosi linguaggi – dal disegno al video e al sonoro, dalla fotografia alla pittura – che si stemperano nel genius loci. Pare strano parlare di un tale rapporto con il territorio in un momento di grandi alterazioni, confronti e sollecitazioni che vengono da più aree e che probabilmente se da una parte attirano interesse e iniettano legittime dinamiche globali, dall’altra mettono a rischio temperamenti visivi e percettivi legati a uno specifico luogo della geografia emozionale e antropologica di ognuno.
Non è sicuramente il caso dei dieci artisti coinvolti per questa mostra da A&A, che conferma difatti il suo legame e la sua volontà di confronto con gli artisti del territorio, anche con coloro che qui si sono stabiliti (magari solo idealmente) o che da questa terra sono partiti alla ricerca di altre istanze. Hernàn Chavar, Francesco Cuna, Salvatore Masciullo, Giovanni Matteo, Fabio Mazzola, Emanuele Puzziello, Patrizia Emma Scialpi, Francesca Speranza, Domenico Ventura e Zweisamkeit si sono così ritrovati a riflettere, talvolta insieme, attorno alle declinazioni di ozio, con opere concepite ad hoc o con lavori già compiuti che ben si prestano alle medesime riflessioni che riguardano la stessa pratica artistica intesa anche come processo operativo.

Ozio può anche esprimere un distacco, un allontanamento più o meno frenetico rispetto alle logiche dell’attuale sistema dell’arte globalizzato. Può quindi diventare allegoria di un processo e di un’attenzione solitaria, periferica e riflessiva, che si propone all’interno di dinamiche che sanno però divenire corali.

Sarebbe fuorviante ripercorrere sotto il profilo filosofico e storiografico questa pratica – che i latini chiamavano otium, con tutti i risvolti intellettuali del caso –, dalle analisi di Aristotele e Seneca fino a giungere alle indagini più recenti dense di riferimenti socio-antropologici. Perciò addentriamoci nelle proposte dei protagonisti di questa mostra corale.

È “My old friend”, una serie di tre chine su carta di Chavar ad aprire questo breve cammino di sollecitazioni visuali, proponendo un personaggio austero totalmente coperto da un mantello nero, che diviene così un microcosmo in cui rifugiarsi e riflettere. Un gioco di tratteggi – che evidenzia sinuosi panneggi che ostentano le posizioni e l’antiesibizionismo della figura ritratta – sembra quasi ricercare un contatto con l’osservatore.  

Sceglie la via dell’incarnazione – la sua pittura è vissuta difatti da corpi – Francesco Cuna, autore de “La terza interlocutrice”, un dipinto del 2011 che evidenzia la struttura della rappresentazione metaforica, attraverso una sorta di maschera indossata da un’anonima modella, mentre un lungo naso appuntito contrassegna il velo del burca che la avvolge. Anche lei – come gli uomini velati di Chavar – alla contemplazione autoreferenziale oppongono (o magari associano soltanto) un contatto con l’esterno, con il fruitore e la dimensione intima del ‘quadro’.

Salvatore Masciullo sta dalla parte della pittura, attraverso una lotta che fa presagire i suoi trascorsi artistici di lingua tedesca. Il gusto per l’azione pittorica nel suo lavoro si annoda infatti all’interesse per una rappresentazione che è quasi una rivelazione. Giovani corpi si muovono in una dimensione quasi incomprensibile, mentre uno sguardo immaturo scruta l’osservatore dell’opera. Intorno, una teoria di volatili e figure, forse dei monaci – reali o immaginati? – richiamano letture eterogenee dell’ozio, declinate verso il mondo dell’estasi mistica e naturalistica.

Dicevamo del genius loci. Gli artisti transavanguardisti guidati da A.B.O. – giusto per citare un caso storicizzato, ma gli esempi sono legati anche all’arte strettamente attuale – ci hanno ricordato che genius loci significa anche gusto per la citazione. Giovanni Matteo nella sua opera in mostra ha infatti riprodotto la decorazione stilizzata di un vaso dauno che si trova nel museo di Melfi, raffiguranti l’irripetibile viaggio dell’anima dopo la morte. L’atmosfera surreale che contrassegna tutto il contesto – non ultima la figura in primo piano che rintraccia il disegno delle sette stelle – propone un’allegoria irrisolta del viaggio. L’ozio è anche questo. L’ozio è anche riflessione verso la morte all’interno di un paesaggio megalitico concepito con i segni netti di un pennarello colorato.

Fabio Mazzola propone un video concepito per la mostra, coerente con quella ricerca di sensi che sta perquisendo negli ultimi mesi con il suo lavoro plurale e plurilinguistico. “Calura. Trilogia falsificata di Sant’Ignazio” è un gioco di rimandi, tra memorie famigliari – il riferimento al suo secondo nome, gli omaggi alla terra natìa di suo nonno: la Sicilia –, oppressive realtà introverse, puntellate dal rumorio fastidioso di un vecchio ventilatore, e sguardi dischiusi. L’ozio è in questo caso un soffocante e ammaliante rigurgito interiore, sempre però imbandito sulla tavola del paradosso e dell’autorappresentazione estremizzata a dovere.


L’opera nata per questa mostra galatinese di Emanuele Puzziello, rivendica – se mai ce ne fosse bisogno – le attenzioni pittoriche legate alla sfera esistenziale della ricerca visiva. L’ozio qui è una condizione di stasi fisica e mentale, stando alla leggiadra armonia della figura femminile che si lascia vivere in un ambiente indefinito, retto soltanto da un cubo dagli inquietanti risvolti. La pittura si rivela in un duello tra cromìe e palpitanti attenzioni segniche, così manifesti anche in altre opere della sua produzione recente che probabilmente urge anche di una rilettura critica complessiva.    

Patrizia Emma Scialpi propone un bestiario su piccoli fogli di carta, con fondi acquerellati arricchiti di segni lievi a china che riprendono le fattezze ironiche di animali immaginari. Sono degli appunti visivi, giocati sul rapporto tra l’essenziale nero del segno disegnato e il colore acquerellato liquefatto sul foglio con apparente distrazione: un esercizio solitario e ozioso che attesta un interesse verso una percezione ibrida della ir-realtà lowbrow.

È l’ozio apparentemente più immediato quello proposto nelle ironiche fotografie di Francesca Speranza in mostra. Donne e uomini assisi in riva al mare, a contemplare null’altro che la serenità vacanziera agostana. Non a caso gli scatti sono stati eseguiti sulle spiaggie della costa leccese e brindisina, tra ombrelloni, secchielli e occhiali da sole, in un irrefrenabile concerto cromatico dalle tinte accese che sottolinea sorrisi, sguardi sorpresi e rilassati. Corpi smagliati, cappelli improbabili e naturalmente il mare s-confinato del Salento. Lontano dalle mete modaiole che hanno investito il territorio negli anni recenti.

L’ozio che si respira nel dipinto di Domenico Ventura, è intriso di bizzarria, sessualità non ipocrita e vivaci rinvii all’architettura e al paesaggio del sud. Rigorosa e coerente. È così la pittura di Ventura. E non è un caso che per quest’opera della produzione recente rimane valida una vecchia riflessione di Pietro Marino legata alla produzione datata dell’artista: «Il mondo di Ventura è popolato di personaggi che alludono a remote vicende dell’inconscio, a fantasmi di esperienze conturbanti, a memoria dell’infanzia (come in un film di Fellini). Ma sebbene il montaggio delle immagini sia fantastico ed alogico, sarebbe improprio parlare di surrealismo: il simbolismo delle visioni è infatti riassorbito in una curiosa saldezza monumentale che riporta a giri di cultura ‘rappresentativa’».

Chiude il cerchio una traccia inedita di Zweisamkeit, che ribadisce l’attitudine plurima del progetto, insieme a quel “territorio magico” che appartiene al visivo, si propone l’apparente incorporeità della musica. Una traccia musicale concepita come parte integrante dell’interno progetto, anche del catalogo su supporto digitale edito per l’occasione, vuole essere così l’ideale punto d’arrivo (e di partenza) di un’idea condivisa.

Questa mostra vuole essere una sorta di chiamata alle armi su una riflessione teorica – non seriosa – incentrata sul concetto di ozio. Perciò ispirandomi a un’“Esposizione Universale” curata da Giacinto Di Pietrantonio alla GAMeC di Bergamo alcuni anni fa – in cui si proponevano opere legate a grandi tempi, universali appunto, accompagnati anche da frasi estrapolate da conversazioni in chat, sms o posta elettronica, volute dallo stesso Di Pietrantonio –, ho pensato di coinvolgere una serie di persone – amici del mondo dell’arte in particolare – per farmi raccontare il loro punto di vista sul macroconcetto ozio. Il risultato è stato spesso sorprendente, grazie ai numerosi contributi che sono stati recapitati sulla mia pagina facebook o sulla mia casella di posta elettronica. Da Lorenzo Canova a Titti Pece, da Pietro Di Terlizzi a Vanni Cuoghi. Da Roberto Lacarbonara a Francesco Schiavulli e Marco Petroni, giusto per citarne alcuni. Con generoso impegno tutti hanno proposto su mio invito una loro versione dei fatti, naturalmente ignorando il concept specifico della nostra proposta espositiva e concentrandosi esclusivamente sul loro concetto di ozio. Su queste pagine troverete quindi queste declinazioni di ozio frutto di un coinvolgimento ampio e condiviso.
 

Ozio - risposte




Per me l'ozio è un punto d'arrivo impraticabile. Non credo di essere mai riuscito a sopportarlo, eppure non riesco a smettere di cercarlo.
Leonardo Regano, mediatore culturale



Ozio è un tempo che ti permette guadagnare spazio alla realtà e farlo proprio, infatti portarlo ad un'altra dimensione, più comoda, e che addirittura ti dà la possibilità di inventarti di nuovo, rivivere insomma….
Sara Sanz Nisa, artista



Nella sua radice di "otium" è il momento del pensare se stesso pensante, attività che presuppone grande intelligenza. Pertanto l'unica riforma della Costituzione che sono pronto ad accettare è quella che cambia l'articolo1: L'Italia è una Repubblica Democratica fondata sull'OZIO.
I cretini in frenetica attività. Danni ingenti da ciascuno ma in ordine casuale. La statistica, frutto prezioso dell'ozio, ci dice che la media sarà nulla. Una birra, grazie.
Pino De Luca, giornalista enograstronomico


Vivo nell’ozio. Non faccio negozio. Come Annibale, porto Capua nel cuore. Otium cum dignitate: questa è l’antica regola. Scrivere d’arte. E imparare l’arte. E tanto altro ancora. Un tempo leggere, ora navigare. Ma in una mare senza pesci e senza barche. Il mio ozio è lo studio. Come mi piace oziare!
Enzo Battarra, critico d’arte



L'Ozio è la culla del generare. Non c'è arte senza ozio. Senza pascolo dello sguardo. L'ozio, il cazzeggio è il goico dove il fare prende forma ridendo la giusta leggerezza. Decantare le tensioni, fare vacanza... depensare per dare forma all'indeterminato o a ciò che “spiato”, presagito poi si palesa nella sua interezza.
Così scrisse Paul Lafargue, rivoluzionario, giornalista, scrittore, saggista e critico letterario,  autore del fondamentale "Diritto all'ozio" (1887) quando decise di togliersi la vita: «Sano di corpo e di spirito, mi uccido prima che l'impietosa vecchiaia mi tolga uno a uno i piaceri e le gioie  dell'esistenza e mi spogli delle forze fisiche e intellettuali. Affinché la vecchiaia non paralizzi la mia energia, non spezzi la mia volontà e non mi renda un peso per me e per gli altri. Da molto tempo
mi sono ripromesso di non superare i settan'anni; ho fissato la stagione dell'anno per il mio distacco dalla vita e ho preparato il sistema per mettere in pratica la mia decisione: un'iniezione ipodermica di acido cianidrico. Muoio con la suprema gioia della certezza che, in un prossimo futuro, la causa alla quale mi sono votato da quarantacinque anni trionferà. Viva il Comunismo. Viva il Socialismo
Internazionale! ». Che ozioso! Che artista
Mauro Marino, giornalista e scrittore



Ozio, otium. pausa del corpo per rigenerare la mente. tanto atteso, mai raggiunto, lontano. vicino. credo che non esista. non in questo tempo. 
Serena Carbone, critica d’arte e curatrice



Lo zio è il padre dei vizi. Son zio di due nipoti.
Carlo Michele Schirinzi, artista



L’ozio? Un’arte e uno stile di vita. Fra i miei “profeti” c’è Bertrand Russell e il suo filosofico“Elogio dell’ozio” è uno dei saggi che ho studiato più volentieri. E credo ben si rapporti al pensiero russelliano il concetto di “ozio creativo”, coniato molti anni dopo dal sociologo Domenico De Masi: nella società post-industriale, sostiene De Masi, nella quale la creatività predomina sulla manualità, i confini tra lavoro, studio e gioco si confondono. Ecco allora che questa fusione genera l'ozio creativo: in sostanza, si viene a determinare una situazione in cui si lavora senza accorgersi di farlo. L'’ozio creativo è una sintesi "hegheliana" tra due antitesi: tra  piacere e dovere. Imparando l'arte dell'ozio creativo, secondo De Masi, riusciamo a mescolare il piacere del gioco con il "dovere" dello studio e del lavoro, fino a farli diventare un tutt'uno in cui, proprio perché si perdono i confini, si annulla la componente faticosa del lavoro e si recupera la componente creativa e utilitaristica della creatività derivante dal piacere del gioco. Un’arte, dunque, e uno stile di vita, ma per niente facile da applicare! 
Anonimo



Adoro oziare, più di un pastore greco.ozio per ozio, tempo per tempo, un gioco totalmente astratto che ha tutto il fascino delle cose inutili.
Azzurra Cecchini, artista




1) L'ozio positivo (il riposo dalle fatiche, l'autentico ozio da gourmet), è l'unico vero momento di libertà per l'essere pensante: il momento in cui muscoli e cervello si sciolgono finalmente dalle pesanti catene del lavoro;
2) E poi... quale miglior antidoto alla vita da polli in batteria cui ci costringe la società contemporanea? Quando oziamo, interrompiamo, sia pure per un breve istante, il ciclo industriale acquisto-consumo che ci lega a doppio filo, dalla nascita fino alla morte...
Francesco Porpora, musicista



Amo oziare, perdere tempo, divagare, allontanarmi, vagare a vuoto, errare, smarrirmi: forse è l'unico modo che ho di trovare quando sono alla ricerca di qualcosa. 
Lorenzo Canova, critico e storico dell’arte



Otium. O della dimensione del creare. O dell’abbandonarsi al ritmo della produzione poietica, della ripetizione archetipa che sostanzia il reale, comune universale, districata nella dimensione del sogno, come produzione, come ritorno thalassiale, come fonte foce e letto dove la pulsione scorre, nell’intima condizione della ripetizione poietica che origina, del reclamare il diritto all’interrupt sociale, in un contesto degenerativo che condiziona, crea e ricrea assorbendo la dimensione sognante, astraendola per destrutturazione, divisione. E distruzione, dissolvendola. Quando cediamo in pegno questa nostra dimensione, siamo dimentichi della nostra esistenza, conformati alle estensioni della condizione primigenia replicante e replicata dalle new-tecnologie sociali. Il corpo della madre, il primo media. Un pezzo di sesso dimenticato. Oggi. Mirror media che annullano, privano reprimono. Impediscono il ritorno ad un io che è un noi che è altro da noi. Il sogno il sogno. O dell’otium thalassiale, fuori dalla dialettica sociale odierna che ci determina in quella «peu de realité» lacaniana, costituente più che costitutiva.
Francesco Aprile, poeta



Ozio... Parola poco praticata. Sfuggo l'ozio da sempre, ho bisogno di riempire il tempo, senza ansia. Angela Beccarisi, operatrice culturale



Ciò che normalmente porta alla mente la parola ozio,non corrisponde alla visione artistica della vita...essendo l'Ozio fonte di energia vitale alla creazione, e punto dove il tempo e lo spazio confluiscono per generare.
Carlo Cofano, artista


L'ozio è un lusso che pochi si possono permettere.
Francesco Maggiore, creativo



Schianto della domenica d'agosto,
disteso sul letto guardo il soffitto,
a pancia in su come pollo arrosto,
perduto e da vertigine sconfitto.

Filtra silente, dalla verde persiana,
senza pensieri, ricordi, proiezioni,
la luce blu di un'estate indiana.
Immobile soffoco le intenzioni.

Far nulla e poi niente, guardando in su,
goccia di sudore m'imperla la fronte,
amo perdere tempo e nulla più;
al fin traghettato son dal buon Caronte,

che senza donarmi ragione o torto
ride e chiede se son vivo o morto.
Vanni Cuoghi, artista





Cercherò di essere breve e coinciso, per gli artisti credo non esista l'ozio, tutto il tempo viene vissuto come una continua ricerca, con pause e fughe, le pause non possono definite superficialmente ozio, ma riflessione o ripensamento.
Pietro Di Terlizzi, artista e direttore dell’Accademia di Belle Arti di Foggia



Tra tutti gli ozi, il mio è un respiro tra due gesti, una pausa tra le note. Ha per compagno il silenzio, e sorride beffardo a chi lo confonde col vizio. Restare indietro nella corsa tra i più veloci non lo spaventa e sta su un piano verticale tutto quello che gli importa. Gioca col tempo l'ozio, e con l'agire...in un movimento che non conosce moto."
Annalisa Greco, studentessa


Ozio per pensare...per scendere negli spazi inesplorati del cuore e della mente
... per stare con la parte più nascosta e segreta...per ascoltare il battito...
Fabiana Cicirillo, architetto



L’ozio nella mia vita non esiste, non so oziare e questo è grave a mio avviso.
Mi riferisco, però, ad un tipo di ozio che può essere sinonimo di contemplazione, ma chi è schiavo di una società produttiva, non riesce a vedere nella fase contemplativa un aspetto importante della vita, quanto quello produttivo. Per me, quindi, ogni minuto passato senza fare nulla, mi sembra un controsenso.
Esistono però varie forme di ozio, alcune positive, come quella di cui ho parlato, e  alcune negative. Io credo che tutti dovremmo ritagliarci una fetta di ozio di tipo contemplativo, ma non cadere in altre forme di ozio negative, l'ozio ad esempio che coinvolge lo sfruttamento degli altri.  Vivendo in una società del fare, e tenendo conto che l'80 per cento della nostra vita se ne va in manutenzione, chi ozia e aspetta che siano gli altri ad occuparsi delle mansioni che spetterebbero a lui, cade in questo tipo di ozio per sfruttamento, e non va bene. 
Ci sono persone che ozierebbero volentieri in fase contemplativa, ma non possono farlo, perché sono piene di impegni; ci sono persone, invece, per cui l'ozio diventa una malattia perché sono circondati da persone che pensano per loro.
Io non conosco nessun tipo di ozio, nemmeno quello positivo, molto spesso appartengo alle persone che non possono permettersi di oziare, ma se mi capita di poterlo fare, sono talmente alienata che non ci riesco!
Adriana Giangrande, zoologa e docente universitaria



Ozio, tema astratto! Lo cerco. Mi sfugge. Compare un attimo. Scompare.
Gino Battista, collezionista








Tempo disincantato del corpo che vuole ridisegnare i suoi confini perimetrali per proteggersi dalle manipolazioni della modernità indifferente.
Tempo sospeso dell’anima rivolto solo a se stessi per scoprire quelle zone celate, inespresse e compresse dai ritmi produttivi dell’universo tecnologico.
Tempo pigro della contemplazione che si ciba di fragilità esistenziali per rafforzarsi e proteggersi dal progresso selvaggio.
L’otium non è un Vuoto.
Maria Antonietta Epifani, studiosa di antropologia e musica


Un anziano passeggia lungo la sera. La sua ombra stampata sul muro di tanto in tanto compie qualche passo più svelto. L’attende.
L’attesa cuce le fibre dell’ozio.
Si ferma su d una panchina, vi si stende portando le braccia verso un ricordo. Non lo acciuffa. Per poco.
Il ricordo è un ozio di privilegio, invecchiato per bene e con cura, imbottigliato senza anidride carbonica. L’ozio, quello a basso costo rappresenta l’intervallo tra il sentire ed pensare, la sottile comunicazione tra il respirare e il pulsare del cuore. L’ozio è anche la linguaccia di un monello alla sua maestra, “ questa lezione la salto” le dice. L’ozio è la sigaretta del ventenne innamorato, del trentenne deluso.
L’anziano ha chiuso gli occhi. Il suo corpo ha la stessa utilità di un orologio in una stanza vuota.
Una donna bellissima vestita di scuro gli si avvicina. Lo tocca, lui non risponde, ha gli occhi chiusi, forse non ce li ha più.
L’ozio è la bugia più dolce a cui gli umani hanno accettato di credere senza protestare. Neppure con uno sguardo.
Maria Grazia Carriero, artista
Angelo Mansueto, musicista


L’ozio accende la politica, la gestione del tempo privato e pubblico. questione centrale della nostra contemporaneità. come scolari ignoranti che hanno smarrito la scrittura delle proprie azioni, ci aggiriamo nel villaggio globale connessi in una prospettiva istantanea e vorace che azzera gli spazi e la capacità di abitare il mondo. Senza tempo nè spazio non c'è tragedia o dramma da vivere ma solo farse che si ripetono stancamente. Senza. Sull'orlo. Ci affacciamo quotidianamente sullo sbando. Come aprire la porta? Come ritrovare senso? It's a cold and it's a broken hallelujah (Jeff Buckley)
Marco Petroni, curatore e studioso di design contemporaneo


Ad essere sinceri e convincenti si potrebbe solo dire che nel tempo detto libero io vivo. O che nell'ozio inseguo alibi alla vita per barare colla morte. Poi, vabbé, si sposano comunque, il vuoto con l'immenso. E in queste ore, mentre sto terribilmente e grandiosamente al mondo, il sole consuma nel semicerchio la mia pausa pranzo. Mentre prendo a sassate le idee scritte male. E ancora tiro dritto.
Roberto Lacarbonata, curatore d’arte contemporanea







OTIUM: quel filo d’oro e la voce del vento
Viaggio sentimentale nel secolo dei Lumi, nel Salento

di Titti Pece: liberamente tratto dal mio libro “Quoquo. Come le  Api al miele” ed. Moscara Associati 2007
testo dedicato a Lorenzo Madaro, per il suo OTIUM /2012


Si parlava di felicità tra Alezio e Sannicola,
nei pressi della Lizza, negli anni che videro il secolo dei Lumi trasmutare nel secolo degli eroi romantici.


Ne parlavano – incontri tra amici, in campagna - Giovanni Presta, il marchese Palmieri, Bartolomeo Ravenna, Filippo Briganti: erano tutti gallipolini, tranne il marchese, che veniva da Martignano. E tutti erano appassionati di ulivo, di olive ed erano proprietari di uliveti da queste parti; nonché, tutti, fini intellettuali. Trascorrevano le loro villeggiature ognuno nel proprio podere: nei casini che già erano come ville, veri luoghi di ‘otium’, circondati da ameni giardini: rimanendo pur sempre – perciò non si chiamavano ville – luoghi dove si svolgeva parte del lavoro agricolo. Nei palmenti si faceva la lacrima e quel vino nutriva del suo umore il piacevole dire di ‘felicità’ di quei fini intellettuali. Nei frantoi si estraeva l’olio d’oliva che a sua volta alimentava le loro idee sull’utilità sociale dell’agricoltura. L’otium era fatto di queste cose, soprattutto: e il tempo trascorso in campagna, tenendo lontano gli uomini dai ‘negozia’, più li avvicinava all’etica e consentiva loro anche di praticarla. E molto si discuteva di olive, delle loro varietà e delle tecniche colturali degli uliveti.

 I luoghi
Da una parte, nel casino Rocci, villeggiava il marchese Palmieri, ministro delle Finanze del Regno, e il casino era di sua proprietà e qui erano i suoi uliveti. Il Presta, medico e agronomo, era alle Camerelle; il notaio Bartolomeo Ravenna, che pure commerciava in olio, aveva ereditato dalla moglie il casino Rodogallo e i Ravenna hanno anche una villa, oggi detta villa Ravenna. La moda del villeggiare in campagna l’avevano introdotta qui alla Lizza i vescovi di Gallipoli. La famiglia di Filippo Briganti, stimato avvocato, era a villa Briganti oggi Bardoscia.

Quanto a la Lizza, luogo intorno a cui, tra Alezio e Sannicola, sorsero verso la fine del ‘700 tutte queste residenze rurali, è lo stesso notaio Bartolomeo a dirci che “si chiama La Lizza perché sorge dove un tempo era l’antichissima città messapica di Aletio. Per un certo periodo, quando Gallipoli fu distrutta dagli Angioini, questa chiesa funse da cattedrale per i gallipolini sfuggiti alla strage e messisi in salvo nelle campagne.ed essi custodirono qui, così si narra, la loro mammella di Sant’Agata. Anche il nostro intendente il signor duca di Monteiasi ama questo luogo”.

Nel silenzio ristoratore della campagna godendo del loro intelligente ozio
Rivolto agli amici, il marchese Palmieri (come sempre critico verso l’inazione della classe dirigente dei Nobili): “La classe Nobile, che dovrebbe distinguersi per l'utile maggiore che reca alla Società, si distingue per la sua inazione. Presso di noi i Nobili non ritrovano impiego, se non nella Milizia, nel Foro e nella Chiesa. Ma la Milizia non può darlo a molti. Il Foro non dee darlo a tanti; e la Chiesa non dovrebbe darlo, se non a coloro, i quali sono chiamati da Dio…”.
Nella consapevolezza che l'utile dell'agricoltura sia alla base della pubblica felicità, i quattro amici sono convinti che questo dovrebbe essere ampliato e non concentrato nelle mani di pochi, ma allo stesso tempo non deve essere disperso là dove i molti si rivelano incapaci di gestirlo.
“I nobili che dimorano nella provincia non dovrebbero avere altra occupazione. Si rende essa necessaria in tal soggiorno per conservare i buoni costumi, ed utile per accrescer gli averi. Ella somministra i piaceri più puri e tranquilli, e chiude l'adito alla noja, che avvelena la vita, e che si cerca invano di togliere con tant'insipidi divertimenti”.


Filippo Briganti, col suo favellare grave e tardo, balbutendo talvolta (e ciò dava grazia al suo discorso), parla agli amici del suo incontro, in casa sua a Gallipoli, con Henry Swinburne, che poi lo ha ringraziato, lui e anche Giovanni Presta, citandoli entrambi nel “Travels in the Two Sicilie”. “Swinburne, a cui ho dato notizie e informazioni per muoversi nel Salento, è stato uno dei pochi viaggiatori europei a spingersi fin quaggiù… Il suo libro è stato pubblicato a Londra qualche decennio fa, nel 1783”.

Sentenzioso nel parlare, come di sua abitudine, Giovanni Presta indica intanto agli amici tutte le varietà di olive che è riuscito a catalogare da queste parti e fa loro degustare dei campioni di olio, di quelli che ha già inviato al Re Ferdinando di Napoli e all’Imperatrice Caterina di Russia, ricevendone in cambio qualche dono ed elogi.

Questi uomini ‘illuminati’ vissero così in questi luoghi e le loro voci ci è parso davvero di sentire, come un’eco, tra questi ulivi, in questi giardini, tra queste pagine…


“Ci arrischiammo a trovare felicità negli uliveti”
(E qui citiamo Vittore Fiore, fine poeta di un altro tempo, che pure abbiamo imparato ad amare e che seppe anch’egli coniugare l’otium all’etica) 

Altre voci
“Oh sì! Il marchese Palmieri trascorreva lunghi periodi in questi luoghi, nella sua villa de’ Rocci. E il maggiore piacere che vi incontrava era quello di girare nel suo gran giardino e si dilettava dei suoi frutti abbondanti e di veder raccogliere le olive. Si narra che talvolta, imitando gli antichi filosofi, le olive le raccoglieva con le sue stesse mani”.
È il  ‘mito del nobile campagnolo’ e forse è nato proprio qui, tra questi ulivi secolari dove anche noi, quando ci riusciamo, dialoghiamo ancora con le nostre piante percependo le voci di alcune parentele intellettuali.

Nel giardino vi sono pere, susine, nespole, cotogne, gelsomoro e profumi di citronella.

Nel giardino vi sono limette, melograni, uva, fragola e una marangia riccia con innesto di “meraviglia”: ottima per i canditi, con retrogusto amarognolo!

Su tavolo della colazione
un libro e una piccola bottiglia di un extravergine. Condisco la mia colazione del nonno: è un’insalata di arance. Riapro le pagine del mio Voltaire. Otium. Felicità. Utopie. Un brivido corre per la schiena.

 Sentite, la voce dell’uliveto, è il vento…

(http://www.quoquo.it ) ©Titti Pece




L’ozio è un processo in divenire “è il principio di tutti i vizi e il coronamento di tutte le virtù”(F. Kafka). Sarà vero?
Giulio De Mitri, artista

Il termine ozio nell'accezione moderna ha assunto un significato negativo inteso come " Abituale e viziosa inerzia, perlopù dovuta a infingardaggine e scarso senzo del dovere ", quindi ben lontano dalla sua connotazione classica, propria del mondo greco, che identificava l'ozio con il tempo libero, il tempo da dedicare alla creatività, alla filosofia, alle arti, attività riservate agli uomini liberi. Personalmente credo che oggi  i due concetti si siano fusi tra loro non essendo possibile stabilire un confine, perciò considero l'ozio un " DOLCE FAR NIENTE ", cioè un tempo libero da impegni nel quale è possibile aprirsi alla dimensione creativa.
Iginio Iurilli, artista


Il nostro tempo è il tempo delle contraddizioni: il tempo dell’estremamente razionale e dell’irrazionalità più sfrenata, che spinge individui e gruppi oltre ogni limite, alla ricerca del soddisfacimento delle pulsioni istintuali. Ragione e follia si incontrano. E si incontrano la frenesia del fare, dell’agire, e il desiderio spasmodico di trasgressione, di quella “febbre del sabato sera” che colpisce adolescenti e ma anche uomini e donne più maturi.
L’ozio, inteso come momento di sospensione, di pausa dell’attività lavorativa, riscopre e celebra  il rito: il rito della discoteca, delle feste private, delle saune, dei giochi d’azzardo, dello sballo. Sono i riti del consumismo imposti dall’industria del tempo libero che si compiono nei “non luoghi” di cui parla Marc Augé: i grandi magazzini, i centri commerciali dove si trascorrono intere domeniche, i club privé, gli ambienti degradati delle nostre metropoli.
E in questi luoghi o meglio in questi “non luoghi” gli uomini perdono il contatto con il mondo per vivere un’altra dimensione in cui possono materializzarsi i suoi sogni di libertà. Così l’uomo conduce la sua esistenza su piani immaginari. Vive dentro una fiaba. Vive una realtà virtuale come quella di Internet che diventa altrettanto vera. Qual è la realtà? L’uomo si sdoppia. Conduce vite parallele. Di giorno impiegato in ufficio. Di notte trans che soddisfa decine di clienti di ogni ceto e di ogni età. La schizofrenia diventa un modo di essere, una modalità dell’esistenza.
 “La libertà organizzata è obbligatoria” - scriveva Theodor Adorno in un saggio dell’ormai lontano 1969 -  “e la gente è inconsapevole di quanto poco libera sia, anche quando si sente al massimo della libertà, perché il controllo di tale libertà le è stato sottratto”. Parole profetiche. Oggi più che mai l’uomo è schiavo del lavoro come dell’ozio. Si crede libero ed è sempre più schiavo. Ha perduto ogni capacità di decisione autonoma, ogni capacità di riflessione critica, ogni capacità di leggere e interpretare.   
Occorre recuperare la libertà degli individui contro le multinazionali del tempo libero.
Solo così potremo restituire all’ozio quella valenza etica che ne fa una delle espressioni più elevate della vita dell’uomo.
Livio Sossi, studioso di Letteratura per l’infanzia e docente universitario


Verità, libertà e felicità dell’otium.

Dal pieno, che nulla dice, difendo nuove possibili idee.
Mi separo dal fare opere nella ruota da criceto.
Alimentando il silenzio, siedo sulle rive del vuoto che tutto può contenere. Da qui non guardo e non ascolto più, ciò che passa, nel modo in cui io penso, ma scopro la libertà di conoscere e vivere in un mondo sempre nuovo, meraviglioso ed inimmaginabile perché mai accaduto prima.
Smetto di fare.
Smetto di farmi inseguire dai pensieri che deviano la mia natura.
Lascio trasformare il mio corpo in un canale e la mia anima approda la convivio di bellezza.
Nel mare otium so che incontrerò flutti di verità sommerse dalla realtà indotta.
Comincio un viaggio che devo affrontare senza barca, senza remi e soprattutto senza bussola. È un’immersione completa del corpo nelle acque silenti e nelle sue correnti disvelanti. È un tuffo nel blu, un abbandono guardingo, un’esplorazione giocosa nella pancia del miracolo.
Neanche le immagini delle già mute sirene sopravvivono ai doni del mio nuovo vedere e del mio sentire liberi dal fare e dal pensare non più asserviti al comando della paura e della vanità.
Con fluidità separo l’utile dall’inutile, l’essenziale dal superfluo, il benefico dal nocivo. L’essere ed il sentire nascono da una sottrazione, non da una addizione. Scartare il di più libera. Operare rinunce arricchisce. Tener lontane le strade più corte ci avvicina.
Mi pongo come sentinella ai confini dell’ozio perché, per tutti, è il momento di eleggere la vita.
Divengo un conduttore. Meccanicamente perfetto, liberato dalle false istruzioni ed occupazioni mi connetto al tutto, mi libero nella felicità dell’essere, del sentire e del comprendere.
Osservo giocoso la vita del silenzio liberarsi sulle ali del pensiero e condurmi in infiniti luoghi bianchi dove danzano le verità essenziali.
Nel lasciarmi avvolgere da questa naturale liquidità comunicativa, l’identità va  solidificandosi.
Tutto avviene perché ritrovo le radici, abito il mio tronco ed il fluire del tempo. Il mio essere ora può volare, trascendere, sentire e vedere oltre.
Oltre l’otium.

Stefano Petrucci, scrittore e imprenditore
(rielaborazioni di appunti tratti da “Comunicare Mediterraneo”)


Odio l'ozio. Lo impallino. Lo strozzo.
Epperò l'abito non fa il monaco e per recuperare i miei ritmi biologici lo ingoio e lo spalmo su una frisella a base di olio sale e origano. Lo preferisco così. Antidoto alle ossesse angosce del mio tempo.
Nel frattempo a pancia in su fo enigmistica 

Uccio Biondi, artista


Ecco, se vuoi, puoi guardare il tuo Ozio. E' lì, con la sua linea d'orizzonte bassa, con il suo Luogo visibile dettato da un tuo accomodamento, dato da ciò che reputi pensiero e da cio che ti domina e credi sia manualità, fare occasionale.
Eccolo il tuo Ozio, esso sa che è confine tra quel che è sopra e sotto la tua linea d'orizzonte, sa che non è solo pensiero ma un fare, sa che ti conduce alla dolce confusione, a quel che rigenera altro ozio e ti costringe all'astratto.
Il tuo Ozio è lì, è azione che reputi senza fatica.
Non confonderlo con la passività, ma sappi che è tempo assoluto del tuo stesso pensiero ed è reso concreto dal suo stesso limite, da ciò che tu reputi naturale. Ecco, è lì quel territorio, è lì, segnato dal mare e da un intorno dove speri passino vascelli d'oro di un’ocra paglierino.
Buon Ozio a te.

Francesco Pasca, artista